10 Dicembre, 2019
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BEMBO, Pietro - Testamento II

1544 settembre 5, Roma, palazzo dei Santi Apostoli

Pietro Bembo, cardinale, sano di mente, ottenuta da Leone X la relativa licenza con breve del 3 aprile 1521, raccomanda l’anima a Dio e stabilisce di fare un ulteriore testamento, peraltro confermato da Paolo III, dopo quello del 25 novembre 1535, annullando quest’ultimo e i due precedenti. Circa la sua personale sepoltura non ordina nulla, a meno che prima non disponga il contrario; vuole però che per il corpo di Morosina, madre dei suoi figli, morta il mese di agosto del corrente anno, già tumulato nella chiesa di San Bartolomeo a Padova, si costruisca una tomba nella chiesa suddetta o congiunta al muro di questa – così come meglio giudicheranno i suoi commissari – per cui fissa una spesa non inferiore a duecento ducati. Lascia in dote a tre donzelle da maritare cento ducati d’oro ciascuna; ordina che siano dati a messer Giovanni Matteo Bembo suo nipote i cinquecento ducati già promessigli per il contratto delle sue nozze e all’altro nipote messer Bernardino Bellegno la parte mancante di quanto concessogli in conto di dote sui frutti ricavati dai cinque campi e mezzo della «villa» di Arquà nel Padovano, a meno che in entrambi i casi lui stesso non lo abbia fatto nel frattempo; non lascia niente a Marcella e Maria figlie della sorella Antonia e mogli dei sunnominati nipoti, avendo loro già provveduto, come pure per l’altra loro sorella Giulia ora morta, in occasione dei rispettivi matrimoni; ordina al figlio Torquato di tenere in casa, mantenendolo vita natural durante come lui stesso ora fa, l’astrologo Federico Dolfin; lascia a Bernardino Venier suo germano (cugino di I grado) la fodera grande di lupi cervieri; a messer Trifone Gabriele trenta ducati d’oro sua vita natural durante; a messer Bernardino Sordi da Crema, fattore delle monache di San Pietro di Padova ventiquattro ducati vita natural durante; a Niccolò Barbaccia suo mulattiere venti ducati l’anno vita natural durante; altrettanti venti ducati l’anno per elemosina, vita natural durante, a Chiara e Sara – qualora questi fossero i loro nomi –, sorelle di messer Matteo e Antonio Cinti. Nomina erede universale di tutti i suoi beni mobili ed immobili, presenti e futuri il figlio Torquato, con la clausola che morendo questi senza figli o discendenti gli succedano nell’eredità le nominate nipoti Marcella e Maria ed ugualmente i loro figli o discendenti in stirpes et non in capita; e nell’ipotesi in cui con loro, o i loro mariti o discendenti sorgesse lite, allora dispone che tutti i suoi beni vadano pro anima sua al monastero di San Salvatore di Venezia; impegna altresì il figlio Torquato, nel caso lui stesso non abbia provveduto a versare al genero Pietro Gradenigo la somma di duemilacinquecento ducati quali riscossioni della casa di San Bartolomeo in Padova, a corrispondere al suddetto Pietro le entrate della badia di Villanova nel Veronese e del priorato di Coniolo nel Bresciano per la somma di ottocento ducati l’anno fino al saldo; proibisce inoltre a Torquato di vendere, impegnare o donare le sue «cose antiche di pietra o di rame o d’argento o d’oro o di altro», così pure per i libri ed i quadri che sono sia nello studio che nella casa di Padova. Nomina commissari messer Girolamo Querini del fu messer Saverio, messer Flaminio Tomarozzo, suo segretario a Roma, e Carlo da Fano suo compare, raccomandando a tutti loro di aver cura dei suoi scritti e componimenti sia volgari che latini e greci, concedendogli piena libertà di pubblicare quelli che sempre a loro parrà opportuno.


Copia autentica del 7 febbraio 1547 [B], Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Testamento originale e lettere autografe del cardinale Pietro Bembo, It. XI, n. 25 (= 6671), cc. 6v-8r (mano moderna).

Trascrizione parziale: V. Cian, Un decennio della vita di M. Pietro Bembo (1521-1531). Appunti biografici e saggio di studi sul Bembo con appendice di documenti inediti, Torino, Loescher, 1885, p. 203.

Il documento che segue è inserto nell’atto con cui gli eredi del cardinale chiesero ufficialmente l’apertura dei suoi testamenti (notaio «Ludovicus Reidettus»).


testo originale []

c. 6v Perciochè da poi ch'io feci un testamento in Padova alli .XXV. di novembre 1535 alcune cose sono avvenute per le quali fa bisogno ch’io muti la forma di quel testamento, ho col nome del nostro signore Dio e della Sua Vergine madre deliberato, ora che sano me trovo essere, farne un altro che abbia ad essere testimonio della mia volontà. Però annullando io quel testamento e ancor un altro che io più a dietro haveva fatto, et vani amendue rendendogli come se fatti non fossero, fo et ordino questo che qui seguirà. Et primieramente al suo creator Dio raccomando supplice e devoto l'anima mia, quanto più so e vaglio, ringraziandolo dei suoi doni a me concessi per sua grande cortesia di settanta et quattro anni che io vivuto sono et di molti altri benefici et gratie da Lui havute per tutto il corso e tempo della mia vita, con tutto il mio cuore, pentendomi di quanto ho mai vivendo offesa la Sua Maestà e chiedendonegli umilmente perdono. Da poi lascio che siano maritate del mio cinque donzelle nate di buon padre et di buona madre, alle quali siano dati cento scudi d'oro in dote per ciascuna. Quanto alla mia sepoltura, sì come cosa di poco momento, niente ordino, lasciandola al giudizio et disposizione di chi le cose mie governerà. Ben voglio che sia fatto una sepoltura alla Morosina madre dei miei figliuoli nella chiesa di San Bartholomeo in Padova, dove ella è per tempo sepulta o fuori della chiesa congiunta col muro di essa, chiesa, sì come parerà alli | c. 7r miei commissarii; nella qual sepoltura voglio si spendano ducati ducento et non meno. A messer Giovanni Matheo Bembo mio nepote lascio che siano pagati li ducati cinquecento che io promisi nel contratto delle sue nozze di pagarli con mia comodità. A messer Bernardino Belegno parimente mio nepote lascio che siano donati ducati cento del mio, in luogo di quel poco terreno che nella villa d'Arquà nel Padovano mancasse alla somma di quanto ho promesso nel contratto delle sue nozze di dargli. A Marcella et a Maria loro mogli et mie nepote, figliuole che furno di madona Antonia mia sorella, non lascio alcuna cosa, benchè io come figliuole mie le ami, parendomi havere loro assai lasciato, havendole maritate insieme con Iulia loro sorella che si morì. A messer Bernardino Veniero mio germano, il qual'io ho sempre amato come fratello, et so essere stato dallui amato altretanto, lascio in segno di picciola cortesia la mia fodera grande di lupi cervieri; lascieregli alcuna maggior cosa se egli non fosse richissimo d'animo, contentandosi per la sua gran bontà et modestia di quel tanto ch'egli ha, non meno che facciano i più fortunati d'i loro thesori. A messer Triphon Gabriele, il quale io ho sempre molto amato, voglio che siano dati ogni anno ducati trenta d'oro, mentre egli viverà. Et lascio che Torquato mio figliuolo sia ubligato di tenere nella mia casa a Padova messer Federico Delphino astrologo et di fargli le spese amorevolmente, infino ch'egli viverà, sì come ho fatto io molti anni et fo tuttavia. Et lascio che a messer Bernardino di Sordi da Crema, fattore delle monache di San Pietro da Padova, che già fu servitore di messer mio padre et mio particolare in Sicilia, siano dati ducati ventiquattro l'anno in vita sua; et a Niccolò Barbaccia, stato alquanti anni mio mulatiere, siano dati ducati dodici l'anno mentre viverà et alle sorelle che furono di messer Matteo et messer Antonio Tinti, Chiara et Sara, se pure tal nomi hanno, et che sono in vita rimase questo anno dopo essi, siano dati per elemosina ducati ventiquattro l'anno a vita loro. Di tutto il residuo dei miei beni mobili et stabili, di qualunque sorte et qualità, presenti et futuri, et delle ragioni et attioni che in alcun tempo spettare mi potessero, lascio mio erede universale Torquato mio figliuolo, con questa conditione che, | c. 7v morendo egli senza figliuoli o descendenti, vada la mia eredità tutta alle sopradette mie nezze Marcella et Maria, equalmente, et ai loro figliuoli o descendenti, in stirpes et non in capita; con tal conditione che se per esse, o per li loro mariti o figliuoli o descendenti, sarà mai in alcun tempo mossa lite ad alcuno delli miei heredi o legatarii contra la forma di parte alcuna di questo testamento, voglio ch'elle, o soi heredi, non possano mai per alcuna conditione avere alcuna cosa del mio, ma tutto vada per l'anima mia al monasterio di San Salvatore di Venetia; et così sia terminato per qualunque magistrato che ne havesse a fare giuditio et darne sententia. Et lascio il detto Torquato mio figliuolo herede mio universale, con questa altra conditione che se io non haverò dato a messer Pietro Gradenico mio genero li ducati duomila et cinquecento per riscuotere dallui la mia casa da San Bartholomio in Padova, egli sia ubligato dargli dell'entrate della Badia di Villanova in Veronese et del priorato di Coniolo nel Bresciano ducati ottocento l'anno, infino a compito pagamento. Et se egli così non farà, cada delle ragioni tutte della mia eredità, né possa havere parte alcuna di lei. Et voglio oltre a ciò ch'egli sia ubligato di non vendere, né impignar, né donare per nessun caso alcuna delle mie cose antique, o di pietra o di rame o d'argento o d'oro o de altro che esse siano o fossero, ma di tenerle care et in guardia, sì come l'ho tenute io et parimente sia tenuto di fare così dei libri et delle pitture che sono nel mio studio et casa in Padova et che io ho qui meco, tenendo tutto ad uso et commodità et honor suo et memoria mia. Oltre a ciò ordino et constituisco miei commissarii, i quali siano tenuti per l'amor che io porto loro a fare dare exequutione a tutte le parte di questo mio testamento, il magnifico messer Hieronimo Quirino fu del magnifico messer Smerio et messer Flaminio Tomarozzo gentil’uomo romano mio secretario et messer Carlo da Fano mio compare, con conditione che, non potendo alcun di loro trovarsi dove bisognarebbe per la detta exequutione, possa colui cedere le sue ragioni et darle | c. 8r agl'altri, o ad uno de gl'altri che vi potesse essere et ch'a fare per sé et per loro havesse. Alli quali dò libertà che donare possano a quelli miei servitori che non haveranno da me havuto benefitii o pensioni, tanto delli miei cavalli o altre robbe quanto ad essi parerà che si convenga; et così gli priego che facciano. Raccomando ancora ai detti miei commissarii i miei scritti et componimenti, et volgari et latini et greci, dando loro piena libertà di publicar quelli di loro ch’ad essi parerà che da publicare siano, pregandogli ad havere cura che emendati escano. Ho testato liberamente, sì come n'ho licentia dalla felice recordatione di papa Leone decimo che fu signor mio, datami per un brieve qui in Roma scritto alli tre d'aprile millecinquecentoventuno, il nono anno del suo pontificato et confirmato da papa Paulo tertio, presente mio signor, per un brieve dato alli .XXII. d'agosto .MDXLII. pure in Roma a San Marco, l'anno ottavo del pontificato suo.
Io Pietro cardinal Bembo ho per grazia del figliuolo unigenito di Dio et della madre di lui Vergine beatissima fatto questo mio testamento et qui di mano mia sottoscrittolo et fatto mio erede universale Torquato mio figliuolo, ut supra. Quod quidem volo esse meum testamentum et dispositionem et ordinationem bonorum meorum. Que ordinatio si valere non poterit iure testamenti, valeat iure codicillorum, sive iure donationis causa mortis, sive iure cuiuslibet alterius ultimae voluntatis.
Rome die quinta mensis septembris millesimo quingentesimo quadragesimo quarto in domo, quam nunc inhabito Sanctorum Apostolorum. Et perché io ho alcuni i quali sono ben noti alli miei commissari, voglio et lascio che quelli sopratutto pagati da loro siano delle mie robbe che vendere si potranno et delli miei argenti.